Cenni storici sulla videoarte
David Hall - Ten TV interruptions (1971) |
Per comprendere e poter apprezzare il significato di F.I.V.E@Padova,
si deve accennare brevemente anche ai primordi della video-arte. L’avvio sul
mercato di dispositivi di registrazione relativamente economici e di agile
impiego, permise agli artisti di utilizzare il video come vero e proprio
oggetto o strumento artistico, al fine di registrare, documentare e realizzare
le proprie opere. Siamo negli anni della dematerializzazione dell’opera d’arte,
della messa in discussione dei linguaggi artistici tradizionali, dell’uscita
dalle gallerie e dell’invasione degli spazi urbani.
Marina Abramovic e Ulay - Imponderabilia (1977) |
Sono anni di forte utopia,
di responsabilità di fronte alla realtà e il video sembra il miglior mezzo per
rappresentare il cambiamento e la rivoluzione socio-culturale in atto. Esso,
infatti, può arrivare al “cuore delle famiglie” come accade in TV as a
Fireplace (1969, Jan Dibbets) e in Ten TV Interruptions (1971, David
Hall); è strumento di lotta per Anna Lajolo e Guido Lombardi; diventa testimone
di opere processuali o performative come Torsione (1969, Giovanni
Anselmo), Imponderabilia (1977, Marina Abramovich e Ulay) e Looking
for listening (1977, Michele Sambin). Il termine video-arte iniziò a essere
utilizzato per indicare tutti quei lavori composti da o consistenti, in tutto o
in parte, nel dispositivo video. Ma dopo il boom negli anni ‘70, gli
anni ‘80 segnarono il lento affievolirsi della pratica videoartistica che
scomparì quasi del tutto dai deputati luoghi dell’arte, se non come pratica
documentativa, per essere relegato ai festival tematici.
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