Rock On Light part 4: Isis - Wavering Radiant (2009), Un flash e un addio

L’ultima fatica degli Isis porta con sè tanta rabbia, che poco ha a che fare con il post-metal. La presenza di Adam Jones in due delle tracce del disco spinge la band verso lidi più progressive e, guarda caso, più vicini ai Tool. Hall of the Dead è un incipit violento e aggressivo, costruito su un possente muro sonoro generato da organo e chitarre, che lascia spazio saltuariamente a delicate parentesi ambient. Ghost Key è il pezzo forte del disco, impreziosito da un tessuto elettronico che alterna momenti delicati ad altri più feroci, galvanizzati dalla voce possente di Aaron Turner. La voce, che per l’appunto nei pezzi degli Isis riveste solitamente un ruolo di secondo piano, proprio qui sembra conferire una maggiore emotività all’atmosfera complessiva.

Hand of the Host si snoda su fraseggi decisamente più heavy e, forse, più vicini alle sonorità di In The Absence Of Truth. Dopo un intermezzo di un paio di minuti, il disco prosegue sulle note di Stone to Wake a Serpent: è il brano più abietto, nonché il più inconcludente. Alterna in maniera poco sapiente momenti più distorti ad altri più delicati, riuscendo solo parzialmente ad incidere sull’impatto emotivo. 20 Minutes / 40 Years è invece decisamente più ispirata, la base ritmica ricorda vagamente Panopticon, le atmosfere sono più rarefatte e la dimensione astrale che ne deriva contribuisce a considerare questo un pezzo di splendida fattura. Threshold of Transformation continua con il dualismo heavy/tender, anche se a voler essere onesti risulta lievemente meno riuscito dei brani precedenti (forse per un’eccessiva presenza della voce che, se solitamente aiuta a generare una cornice ben strutturata, qui risulta stucchevole). Per finire, Way Through Woven Branches si articola su una ritmica più complessa, marcatamente progressive e piacevole all’ascolto. Nel complesso, Wavering Radiant è un disco particolarmente ostico, che rappresenta una sorta di testamento, poiché risulta essere l’ultima fatica del gruppo di Los Angeles. Il titolo e la copertina richiamano vagamente la notte stellata di Van Gogh, e vogliono probabilmente generare, tramite le atmosfere calde e luminose della voce di Turner mescolate ai forti muri sonori e agli intrecci generati dalle chitarre, un lampo di luce che però lascia attoniti, incapaci di reagire. Il clima è freddo, violento, sensibilmente instabile. Non sarà certo il miglior lavoro della band californiana, ma riesce a lasciare il segno e a confermarsi, per l’ennesima volta, un esperimento fresco e per nulla scontato.

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