“La Grande Bellezza” tra cultura e fraintendimento




La tanto ambita statuetta torna tra le mani di un italiano, con pieno merito. Ma “La Grande Bellezza” ha sollevato opinioni contrastanti, per svariate ragioni. Vorrei qui porre l’attenzione su alcune delle critiche mosse al lungometraggio dell’ormai affermato Paolo Sorrentino. Carlo Verdone, in una recente intervista, ha sostenuto che “è un film compreso meglio all’estero che nel belpaese”. Questo perché, a ben guardare, Sorrentino ha voluto portare sul grande schermo un ritratto quanto più vicino possibile alla realtà che non riguarda solo l’Italia, come i più sostengono, ma all’intero mondo occidentale.



La solitudine, il vuoto interiore, la monotonia di una vita imperniata sulla mondanità, la ricerca di una felicità utopica: questi e altri i temi trattati nel film, che riguardano (più o meno da vicino) tutti noi. Roma altro non è che la personificazione di una diva morta, bellissima e indifferente. Il contrasto sacro/profano, riprodotto in maniera sapiente dalle musiche (memorabile la prima sequenza, che mostra la città in tutto il suo splendore sulle note di un canto gregoriano, seguita poi dalla festa accompagnata da un famoso brano della Carrà), ha fatto storcere il naso alla critica. Sorrentino si difende sostenendo che “Roma è una città con questa grande caratteristica. E' il centro del Vaticano, del mondo cattolico, e allo stesso tempo, c'è un mondo profano che lavora sotto il Vaticano”.


L’apparente staticità del film, il finale che lascia aperta ogni possibile interpretazione, la mancanza di delucidazioni su alcune parti più “oscure” (la malattia del figlio dell’amica di Jep, la morte del personaggio interpretato dalla Ferilli, lo sfogo artistico della bimba a cui tutti assistono in silenzio, la dipartita di Verdone dopo il tanto agognato successo ricevuto allo spettacolo serale) sono alcuni degli aspetti che lasciano l’amaro in bocca ai giornalisti, per lo più italiani. Ma forse sono proprio questi i punti di forza di Sorrentino, che puntando sapientemente sui primi piani, sui dialoghi e su una splendida fotografia è riuscito a riportare il cinema italiano all’attenzione della critica internazionale.



Fa uno strano effetto sentirlo ringraziare i Talking Heads e Maradona al contempo, ma il suo essere audace e controverso non fa che contribuire a renderlo una persona fuori dagli schemi, dotata tra l’altro di un’estrema intelligenza. I monologhi di Servillo sono il trampolino di lancio per provare ad immergersi in profonde riflessioni di stampo esistenziale con le quali ognuno di noi dovrebbe fare i conti. L’incapacità del protagonista di fare a meno dell’ambiente festaiolo, dei rapporti senza fondamento (al di là dell’amicizia che lo lega al personaggio di Verdone) e della crisi esistenziale che lo attanaglia, conferiscono all’opera una drammaticità verace, tangibile soprattutto nelle sequenze finali.

Non lo definirei un film pretenzioso, né tantomeno manierista (poco azzeccato, a mio avviso, il paragone con “La Dolce Vita” di Federico Fellini). Al contrario, sembra essere un ritratto quanto mai veritiero di una società senza più stimoli né senso di condivisione, decisamente ardito ma non per questo mal riuscito. Dunque, in un momento in cui il cinema italiano offre una quantità impressionante di immondizia farcita di finto perbenismo, non ci resta che goderci un piccolo momento di gloria dopo ben quindici anni. Non ci resta che aspettare, e vedere se riusciremo ancora a imporci tramite quella cultura che, grazie a personaggi come Sorrentino, forse ancora ci appartiene.

Commenti

  1. Non capisco il tempismo di questa critica; il film è uscito nelle sale da molto tempo: perché non recensirlo subito, quindi, se tanto meritevole?

    Così, a risultato già acquisito, il valore della critica è quello di un futile esercizio di stile fine a se stesso, o peggio, la classica manifestazione dell'italica abitudine di salire sul carro dei vincitori.

    Beh, che dire? Complimenti all'autore...

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    1. Ciao Anonympous293! Damiano Merlin ha scritto questa sua opinione perché il caso ha attirato la nostra attenzione, ha assunto rilevanza nazionale e, parlando tra di noi, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante contribuire al dibattito attraverso il blog di ArtMusicEvent. Non tanto per celebrare la vincita dell'oscar (di per se già un fatto degno di nota) ma per l'ostilità che gli italiani stanno dimostrando a priori nei confronti della pellicola. Va anche detto che la riproposizione in tv e l'essere nuovamente distribuito nelle sale ha fatto sì che il film prendesse di nuovo vita; da qui l'esigenza di Damiano Merlin che ha deciso di esprimere il suo punto di vista sull'argomento e salire non sul carro dei vincitori ma su quello dei pochi italiani che stanno difendendo la pellicola. Poi non sono d'accordo sul tema del tempismo; ogni tempo ha la sua critica, il film quando è uscito aveva una sua dimensione, ne ha un'altra ora che è trascorso un anno e che ha vinto un oscar, ne avrà un'altra ancora tra vent'anni se qualcuno deciderà di parlarne. Questo perché l'opera d'arte (d'arte cinematografica in questo caso) ha una sua vita, come tutte le cose, e con il tempo cambia anche la percezione che abbiamo di essa. Altrimenti secondo il vostro principio nessuno oggi potrebbe parlare degli artisti del passato e non potremmo cantare le lodi degli artisti del passato. Ad ogni modo grazie per aver condiviso la tua opinione!

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