Musei multimediali, la cultura espositiva allʼalba del XXI secolo

Saggio premiato al concorso Europa e giovani 2011 organizzato dall’Istituto regionale studi europei Friuli Venezia Giulia) in “Concorso IRSE Europa e giovani 2011, verbale commissione esaminatrice”, Pordenone; Concordia Sette, 2011.


Le nuove tecnologie
La diffusione capillare dei computer e lʼavvento di internet hanno segnato in maniera profonda il tempo in cui viviamo dando il via, con la rivoluzione informatica, a quella che già oggi dagli storici viene percepita come una nuova epoca. Questi cambiamenti sono percepibili nella vita di ogni giorno come è possibile notare dalla trasformazione dei mezzi di comunicazione tradizionali.
La fruizione museale non è rimasta impermeabile a queste novità e la vocazione multimediale dei nuovi mezzi informatici ha permesso la diffusione di modelli espositivi, più coinvolgenti e dinamici, capaci talvolta di favorire lʼinterazione con il pubblico anche e soprattutto grazie alla loro natura multimediale.
Nella mia tesi di laurea che si intitolava Dalla Kunstkammer al metaverso, Collezionismo nei mondi virtuali1, avevo già affrontato il fenomeno museografico del collezionismo virtuale. Credo quindi di parlare con cognizione di causa pur sapendo di avere a che fare con un tema concettualmente spinoso, ancora lontano dallʼessere pienamente compreso nella sua dimensione innovativa e nelle sue inespresse potenzialità.
Gli esempi di musei multimediali che seguiranno nelle prossime pagine terranno dunque in considerazione lʼesperienza sullʼargomento delle collezioni virtuali che offre certi punti di confronto interessanti.
Penso inoltre che il fatto di aver potuto visionare personalmente i principali musei descritti e la maggior parte di quelli solo nominati sia fondamentale per garantire la pertinenza dei miei argomenti.

Lo Jüdisches Museum di Berlino
Il primo museo che prenderò in considerazione è lʼeccezionale museo giudaico di Berlino progettato dallʼarchitetto statunitense di origini polacche Daniel Libeskind.
Esistono molti altri musei di cultura ebraica in Germania e nel mondo, come esistono molti altri musei antropologici, ma forse nessunʼaltra architettura ha lo stesso potere comunicativo di questʼedificio.
Inaugurato nel 1999 dopo 10 anni di lavoro in memoria dellʼolocausto e della cultura ebraica, il museo si colloca in quel contesto di trasformazione storica e urbanistica che ha visto interessata la città in seguito alla caduta del muro e alla conseguente riunione delle due Germanie.
Il museo propone unʼesperienza estetica tra le più intense mai concepite per una struttura espositiva e si tratta certamente di uno dei più riusciti esempi al mondo di architettura interattiva e multimediale tout court. Questo giudizio va oltre il gusto personale di chi scrive ed è confermato dalle recensioni positive delle maggiori riviste di settore oltre che dalla risposta positiva del pubblico in termini di affluenza e gradimento.
Tutto in questo edificio, dalla forma simbolica della pianta architettonica al percorso espositivo, dalle installazioni interattive alla sala multimediale per i più piccoli, tutto qui è studiato efficacemente per fornire il più alto coinvolgimento emotivo ed estetico attraverso una multimedialità intesa nel senso più ampio del termine.
La pianta a “fulmine” che rappresenta una stella di Davide spezzata ed aperta è percorsa da corridoi volutamente inclinati e asimmetrici per conferire sensazioni di disagio e squilibrio. Si vuole simboleggiare il percorso della popolazione ebraica di Berlino in epoca nazista attraverso un ambiente privo di salde coordinate spaziali.
Lʼedificio grigio è ricoperto in gran parte di acciaio e zinco per sembrare spoglio e inospitale. Inoltre a causa del suo materiale, diventa volutamente caldissimo in estate e freddissimo in inverno così da ricreare i patimenti e gli affanni degli ebrei deportati con i treni nelle baracche dei campi di concentramento.
Fra tutte le installazioni presenti nellʼedificio la più intensa è forse quella creata dallʼartista Menashe Kadishman, intitolata Fallen Leaves, che consiste in un percorso cieco lungo un “tappeto” di oltre diecimila volti umani stilizzati in ferro arrugginito (simbolo delle vite schiacciate dallʼodio antisemita). Ad ogni passo lungo il corridoio lo stridio delle facce di ferro calpestate trasmette uno sgradevolissimo senso di angoscia che si accompagna al potente effetto straniante dellʼintero contenitore architettonico.
Lʼintero museo si sviluppa attraverso questo codice estetico. Lʼarchitettura polisemantica è in questo caso veicolo di contenuti ad alto impatto concettuale. Il fine è ovviamente quello di scuotere lʼindifferenza del fruitore e ottenere il coinvolgimento totale delle sue percezioni sensoriali ed emotive. Unica eccezione e momento di rilassamento è lʼarea dedicata ai bambini dove possono imparare il confronto con la cultura ebraica in un ambiente dotato di giochi multimediali e interattivi anche elettronici.

Il Deutsches Museum di Monaco

Il secondo museo di cui voglio parlare è ancora una volta situato in Germania. Non si tratta di un caso poiché dopo la seconda guerra mondiale la nazione tedesca più di ogni altra nazione europea ha saputo, non solo risollevare dalle macerie le industrie quasi annientate dalla guerra e dalla “terra bruciata” di Hitler, ma anche ricostruire il proprio sistema culturale. Uno dei tanti segnali di attenzione nei confronti della cultura è stato il forte sostegno allʼattività museale attraverso la ricostruzione e lʼampliamento dei vecchi musei distrutti dai bombardamenti e la costruzione di nuovi.
Il museo della tecnica di Monaco di Baviera, il Deutsches Museum, è il più grande museo esistente di scienza e tecnologia. La grandezza dello spazio espositivo non ha uguali in nessun altro museo scientifico al mondo.
Solo il Nemo2 di Amsterdam progettato da Renzo Piano con la sua bizzarra struttura a chiglia di nave e il suo eccezionale apparato multimediale, può essere paragonato in ambito europeo al grande contenitore bavarese. La tradizione storica del museo bavarese e il suo stretto rapporto con la scienza e lʼindustria tedesca me lo hanno tuttavia fatto preferire al pur importantissimo edificio olandese.
La tradizione tecnologica e industriale tedesca trova la sua sintesi nei 7 livelli di questo museo occupati da oltre 20.000 reperti inquadrati in più di quaranta ricchissimi percorsi tematici. La caratteristica fondamentale di questa tipologia espositiva è lʼambientazione multimediale entro cui i percorsi si snodano. Caratteristica imprescindibile per un moderno museo scientifico.
Al piano terra o “sottosuolo” si trovano, fra le tante collezioni permanenti, la miniera, i combustibili fossili e i numerosissimi percorsi sulla meccanica e i trasporti. Al primo piano le principali discipline scientifiche tradizionali come la fisica, la chimica, la farmacia ecc. Al secondo piano trovano posto le arti applicate. Infine nei piani dal quarto al sesto trovano posto significativamente lʼastronomia, le telecomunicazioni, il planetario Zeiss e molto altro ancora.
Questi percorsi sono sempre arricchiti da installazioni tridimensionali, reperti scientifici originali o repliche che si accompagnano a moderne spiegazioni multimediali di approfondimento. I materiali interattivi permettono inoltre di sperimentare ad esempio le proprietà fisiche degli oggetti piuttosto che il funzionamento della strumentazione scientifica. Non manca inoltre uno spazio dedicato ai più piccoli come da tradizione tedesca. Il Kinderreich, regno dei bambini, è il settore del museo dotato di maggiori strumenti multimediali con i quali i bambini possono apprendere nozioni scientifiche e tecnologiche attraverso un approccio più leggero.
Molti altri musei sul modello del Deutsches Museum si sono dotati di laboratori multimediali altrettanto ricchi ma lʼautorità, la serietà e non ultima la varietà delle collezioni tedesche rimangono un parametro di riferimento per tutte le istituzioni analoghe a livello internazionale.

Tradizione Museografica, lo specifico italiano 

Veniamo ora alla specificità della situazione italiana che, vista lʼantica tradizione collezionistica, necessita di un veloce quadro introduttivo.
I musei Italiani infatti hanno cominciato ad aggiornare le proprie strutture con le nuove tecniche museografiche multimediali e interattive solo di recente.
Le ragioni di questo ritardo vanno forse ricercate nellʼingombrante tradizione collezionistica. Va sottolineato che lʼeccezionale patrimonio collezionistico italiano è a detta di molti tra i più importanti al mondo e che lʼallestimento museografico è stato in epoche molto diverse sempre di altissima qualità. Il collezionismo è dʼaltronde una tradizione plurimillenaria e profondamente radicata nella nostra cultura. Di certo la produzione artistica e il collezionismo sono profondamente legati tra loro e, a dispetto delle moltitudini di regni e occupazioni che il territorio italiano ha patito nei secoli, la produzione artistica è stata sempre una parte importante della cultura dei popoli italici.
È dunque necessario saper leggere la moderna museografia italiana attraverso la longeva tradizione collezionistica che da secoli spinge gli amanti dellʼarte e i conoscitori stranieri a inoltrarsi nel nostro territorio per godere del nostro eccezionale patrimonio culturale.
Vero è che il museo, così come lo conosciamo oggi, nasce in età contemporanea ed è figlio dellʼilluminismo e dellʼetà napoleonica. Esso dunque è figlio di un sapere che dallʼilluminismo in poi si è voluto scindere in discipline distinte per approfondirne il livello di comprensione3. La specializzazione di allora si tradusse anche nella pratica collezionistica dividendo quelle che un tempo erano state raccolte universali ed eterogenee. Prima di allora il collezionismo barocco era infatti eclettico e disordinato, ricco di accostamenti ipertestuali e universalizzante. Questo tipo di collezioni, molto in voga in tutta lʼeuropa4 venivano chiamate Kunstkammern o Wunderkammern, dal tedesco “camera delle meraviglie”, e furono appunto sostituite dal più moderno museo illuminista con tutte le sue caratteristiche di specializzazione e settorialità già menzionate.
Nacquero così nelle capitali di tutta europa nel corso dellʻ800 le grandi costruzioni museali di gusto neoclassico con le quali ancora oggi identifichiamo i musei tradizionali.
A differenza delle altre nazioni però lʼitalia poteva contare sulla sua grande tradizione architettonica e sulla moltitudine di edifici antichi preesistenti. Venne così ovviamente privilegiato il riallestimento di numerose e prestigiose strutture del passato anziché costruirne ex novo5. In questo modo però i musei nazionali dovettero fare i conti con una gestione “antica” dello spazio e chiaramente poco permeabile alle novità tecnologiche e stilistiche.
La situazione rimase parzialmente invariata durante il ventennio fascista6 mentre cambiò radicalmente nel dopoguerra. Con la costruzione di molti musei ex novo e la ricostruzione dei molti danneggiati dalle bombe si verificò un processo analogo a quello tedesco. Vi fu un tentativo7 di svecchiare la società italiana reduce dallʼautarchia culturale degli anni precedenti. In questa fase di reazione operarono architetti importantissimi come Scarpa o lo studio BBPR che permisero al panorama museografico italiano di aggiornarsi al gusto razionalista e minimale più contemporaneo con risultati peraltro spesso pregevoli. Si pensi ad esempio alla ricostruzione del castello Sforzesco di Milano o al riallestimento della sala dei medievali alle Gallerie dellʼAccademia di Venezia o ancora al Museo di Castelvecchio di Verona piuttosto che ai Musei Civici di Padova. La stagione dei musei del dopoguerra fu una delle rare manifestazioni di intelligenza progettuale nel più tetro clima generale della cementificazione selvaggia e di speculazione edilizia che contraddistinse gli anni del boom economico.
Eppure la grande svolta multimediale e interattiva, in Italia come allʼestero, dovette attendere le grandi trasformazioni tecnologiche e artistiche per compiersi.
Tuttavia anche in questo caso il ritardo tecnologico Italiano produsse un aggiornamento dei musei più lento rispetto ad altri paesi nonostante le potenzialità offerte dai nuovi sistemi interattivi.
Quindi, verso la fine degli anni novanta con la diffusione massiccia di Windows 95 si sono cominciate a vedere le prime installazioni che permettevano di navigare contenuti digitali interattivi come ad esempio le informazioni storiche, scientifiche, commenti sonori o presentazioni multimediali allʼinterno dei percorsi museali.
Si diffusero inoltre i cataloghi digitali che oggi sono parte essenziale della proposta museale online dei maggiori musei mondiali8. Purtroppo la situazione dei database digitali italiani, per quanto in evoluzione, è ancora molto indietro rispetto al panorama tecnologico tedesco, francese, inglese o statunitense. Si pensi al caso degli Uffizi, il più celebre museo italiano, che solo nel 2009 ha iniziato lʼopera di digitalizzazione della propria collezione di disegni.

Il Macro di Roma
Solo in questi ultimi anni dunque si è cominciato a produrre una museografia veramente multimediale, avanzata e talvolta interattiva. Questo è avvenuto soprattutto grazie alle strutture collezionistiche di arte contemporanea per via della vocazione multimediale delle nuove discipline artistiche. Il MACRO e il MAXXI a Roma, il MART di Mario Botta a Rovereto, il GAM di Torino, il MAMBO di Bologna. Sono tutti contenitori con approcci espositivi allʼavanguardia pensati per accogliere le più aggiornate forme dʼarte multimediale. Si supera attraverso queste strutture il semplice concetto di database digitale per offrire una diversificata e stimolante offerta multimediale nel duplice senso di contenitore capace di dialogare con il fruitore in senso architettonico, plastico, pittorico, sonoro e di raccolta artistica formata da lavori contemporanei di spiccata ascendenza multimediale quali ad esempio la videoart, lʼinstallazione, la computer art, la performance ecc..

Di tutte queste realtà espositive il Macro (Museo di Arte Contemporanea di Roma) è il terzo e ultimo museo su cui mi soffermerò.
Il complesso museale si articola in due edifici distanti per posizione, forma e funzione, uno nei pressi di Porta Pia considerato la sede ufficiale e lʼaltro sito nellʼex-macello del rione Testaccio adibito a mostre temporanee.
Il Macro di Via Nomentana vicino a Porta Pia ha la sua sede nella ex-fabbrica Peroni dal 1989 ma lʼinaugurazione ufficiale degli ambienti risale al 2002. Il sublime spazio architettonico aggiunto da Odile Decq invece è stato inaugurato nel 2010 e si caratterizza per una particolare integrazione alla pianta originale dellʼex fabbrica riuscendo nel difficile tentativo di unire una costruzione dal linguaggio modernissimo composta da passerelle scale e ambienti semplificati ma asimmetrici allʼarchitettura precedente. Lʼintegrazione finale risulta essere un edificio di grande personalità ma non “gridato”9, dalle forme piacevolissime sia da vedere che da scoprire. Lʼedificio è complesso ma non frustrante in quanto leggibile progressivamente nello svolgimento/svelamento degli spazi e soprattutto in quanto fedele alla caratteristica principale di un museo: essere funzionale allʼesposizione. Caratteristica di funzionalità espositiva che nei musei dʼarte contemporanea, sin dai tempi del Guggenheim di New York ad opera di Wright, è stata troppe volte posta in secondo piano. Lʼeccessiva personalità architettonica del contenitore ha negli ultimi decenni rubato la scena ai contenuti. Inevitabile il riferimento al Maxxi, altro museo dʼarte contemporanea romano inaugurato nel 2010 nel quartiere Flaminio. Il confronto tra le due strutture è più che legittimo data la vocazione contemporanea di entrambe e la comune realizzazione architettonica dʼavanguardia. Il Maxxi a differenza del Macro si configura invece come museo di strabordante esuberanza e dalla personalità rumorosa in cui gli spazi architettonici, per quanto affascinanti, tendono a rubare la scena alle collezioni in esso contenute.
Il Macro con i suoi spazi più discreti riesce a comunicare la sua forma al fruitore del museo senza tuttavia rubare la scena alle opere presentate senza solismi architettonici troppo accentuati. Lʼarchitettura riesce dunque a fondersi nelle collezioni permanenti e temporanee aggiungendo ai numerosi media artistici tradizionali e dʼavanguardia (quadri, sculture, installazioni multimediali) la forza discreta del suo linguaggio costruttivo. 

Le diverse possibilità dei musei multimediali
I tre musei su cui mi sono dilungato sono tutti contenitori di sicura eccellenza e spiccata personalità multimediale. Caratteristica comune ad ognuno è infatti quella di saper trasmettere saperi complessi (arte, filosofia, tradizione, storia, scienza, tecnologia ecc..) attraverso lʼapproccio avvolgente e trasversale del multimediale. Ognuno di questi esempi però in modi diversi interpreta lo stesso concetto di multimedialità per fini e con esiti differenti tra loro.
Nel caso del museo Berlinese lʼarchitettura, le installazioni, i laboratori interattivi, lʼaspetto concettuale vanno a conferire unità dʼintenti al programma complessivo. Il museo si rivela il più coerente e concettualmente compatto tra i musei considerati. Tutti i canali comunicativi concorrono a trasmettere la tradizione ebraica e la tragedia dellʼolocausto in senso unitario.
Differente è il caso del Deutsches Museum. Questa gigantesca struttura di gusto neoclassico non è di certo paragonabile allo stile decostruttivista di Libeskind, né al modello espositivo unitario da lui proposto, in quanto risponde ad esigenze diverse. Lʼenorme catalogo di saperi scientifici e tecnici illustrati in questi musei viene qui proposto in maniera paratattica, e quindi in perfetto stile illuminista. Così di volta in volta si adottano i diversi strumenti multimediali per coinvolgere il fruitore nella maniera funzionale a spiegare quella disciplina piuttosto che lʼaltra. In questa struttura inoltre lʼarchitettura recita un ruolo più discreto, mentre spetta allʼarredamento e alle installazioni scientifiche il compito di comunicare le informazioni necessarie. In questo caso è da sottolineare la lungimiranza con cui i direttori del museo nel corso degli anni hanno saputo aderire alle nuove tecnologie intervenendo su un ambiente ormai datato, aggiornandolo architettonicamente e culturalmente.
Infine il caso del Macro a Roma che con la sua architettura dʼavanguardia non ambisce a raccontare un tema preciso come il museo di Berlino, né a proporre una moltitudine di ambientazioni come nellʼesempio monachese ma piuttosto crea uno spazio che è al tempo stesso personale e versatile nei confronti di un collezionismo artistico eclettico e multimediale. Il linguaggio architettonico qui accompagna le collezioni non sovrastandole ma piuttosto esaltandole.
La qualità dellʼintervento e della proposta culturale dimostra la sensibilità finalmente acquisita dagli ambienti italiani nel saper integrare nel proprio catalogo museale soluzioni allʼavanguardia che permettano di vivere il museo del XXI secolo attraverso i linguaggi che più caratterizzano lʼepoca in cui stiamo vivendo: multimedialità, interazione e interdisciplinarietà.

Esposizioni temporanee, alcune riflessioni

Nellʼavviarmi a concludere, aggiungo solo alcune note circa il carattere delle esposizioni temporanee di arte contemporanea che solo solitamente dotate dei più sofisticati strumenti multimediali. Le soluzioni più efficaci appaiono quasi sempre in esposizioni effimere come le biennali piuttosto che in strutture museali. Nella maggior parte dei casi le installazioni vengono distrutte a causa del loro ingombro eccessivo e della facile deperibilità. Si riscontrano difficoltà oggettive nel processo di musealizzazione di opere che sono concettuali, performative e ambientali. Restano, nella maggior parte dei casi solo i cataloghi, gli articoli e tutto il materiale scritto o registrato a documentare questi interventi dʼavanguardia.
Concludo con due esempi circa la natura effimera ma fortemente multimediale di queste proposte.
Nel 2007 Cao Fei artista cinese specializzata in computer art ha partecipato alla Biennale di Venezia con i.Mirror un lavoro incentrato su Second Life. La performance di Cao Fei allʼinterno di questo mondo virtuale è stata tradotta in video e quindi allestita in un ingombrante igloo con effetti sonori e collegamenti internet. Opere di questo tipo difficilmente vengono raccolte dai musei ma testimoniano una tendenza avanguardista molto sensibile al multimediale estremo.10
Alla Haus der Kunst di Monaco si è tenuta questʼanno una mostra intitolata Move. Lo scopo dellʼesposizione era di riflettere sui rapporti tra arte e movimento nellʼarte a partire dagli anni sessanta in poi. I lavori, tutti fortemente influenzati dallʼhappening e dallʼarte partecipativa, erano pensati per essere usati dal pubblico. Il pubblico attraverso lʼinterazione e il movimento entra in relazione dinamica con lʼopera dʼarte aggiungendo un importante dimensione multimediale. Il repertorio di videoart, happening e installazioni presentate senza lʼinterazione sarebbero state “normali opere” dʼavanguardia. Lʼinterazione e la dimensione del gioco sono aspetti solitamente riservati alle aree per bambini come nel caso di Monaco e di Berlino e comunque in un ambito diverso dal collezionismo artistico. Lʼopera dʼarte per adulti (con la quale è di norma negata lʼinterazione) in questa esposizione assume invece unʼestensione multimediale sconosciuta al mondo artistico degli adulti.11 


Nicola Valentini

Padova, 2011.



1 Valentini Nicola, Dalla Kunstkammer al metaverso, Collezionismo nei mondi virtuali, Padova, 2010.
2 Mottola Molfino, Il libro dei musei, 1998.
3 Valentini, Dalla Kunstkammer al computer, 2010.
4 Soprattutto in Europa centrale presso i principi tedeschi del XVII secolo ma assai diffuse anche in Italia. Bredekamp, Nostalgia, 2008.
5 Gli Uffizi per fare un esempio dei tanti musei moderni ricavati da strutture antiche. Mottola Molfino, Il libro dei musei, 1998.
6 Watkin David, Storia dellʼarchitettura occidentale, 1990.
7 Dalai Emiliani, Musei della ricostruzione in Italia tra disfatta e rivincita della storia, 1982
8 In certi casi i musei offrono addirittura gratuitamente la possibiltà di accedere a fotografie ad altissima risoluzione. Per una panoramica sulla situazione degli archivi digitali dei musei si rimanda al primo numero del 2011 della rivista Master Drawing.
9 Per “gridato” si intende un edificio eccessivamente vistoso, autoreferenziale, che privilegia lʼaspetto alla funzione.

10 Valentini, Dalla kunstkammer al computer, 2010
11 Foster, Rosenthal, Move: Choreographing You - Art and Dance Since the 1960s, 2010.


Bibliografia

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